Babeuf François Noël

1760 - 1797

Babeuf François Noël

ID: 4183

François-Noël Babeuf, noto anche come Gracco Babeuf in onore dei Gracchi, riformatori e tribuni della plebe romani (San Quintino, 23 novembre 1760 – Vendôme, 27 maggio 1797), è stato un giornalista ed agitatore politicofrancese, che si distinse durante la Rivoluzione.

Viene ricordato per il suo ruolo nella congiura degli Eguali. Sebbene i termini socialista e comunista non fossero in uso al tempo di Babeuf, essi sono stati ampiamente utilizzati dagli studiosi successivi nel descrivere i suoi ideali politici, anticipatori del socialcomunismo.

La giovinezza

La Basilica di Saint-Quintin

François-Noël è il primogenito della famiglia di Claude Babeuf, il quale aveva disertato l’esercito francese nel 1738; condannato per questo e poi amnistiato nel 1755, divenne impiegato delle imposte e fu l’unico insegnante di François. La famiglia in cui François-Noël crebbe apparteneva alla piccola borghesia povera, classe vicina a quella dei lavoratori non proprietari, dalla quale si distingueva tuttavia per una maggiore cultura, per la volontà di emergere e per un impegno politico favorito dai mutamenti sociali in corso e dalle conseguenti richieste di eguaglianza politica alle quali la crisi dell’Ancien régime né riusciva né voleva dare risposte adeguate.

Ancora grazie all’esperienza paterna, che lo rese edotto di materia fiscale, prese servizio nel 1777 dal signore di Bracquemont, un notabile della provincia di Roye, nella Piccardia; di qui, nel 1779, andò a guadagnare tre lire al mese da un cancelliere di Flixecourt. Nel 1780, rimasto orfano di padre, dovette assumersi l’onere del mantenimento di una famiglia numerosa, un impegno che dovrà mantenere per tutta la vita.

Il 13 novembre 1782 sposa Marie Anne Victoire Langlet, una ex-cameriera della signora di Braquemont, che aveva conosciuto cinque anni prima, al tempo del suo primo impiego. Avranno cinque figli: Catherine Adelaide Sophie (1783-1787), Robert, che chiamerà Emile in onore di Rousseau, nel 1785, Catherine Adelaide Sophie (1788-1795), Jean-Baptiste Claude (1790-1815) e Gaius Gracchus (1797-1814).

Apre uno studio di commissaire à terrier, ossia commissario al registro catastale agrario, equivalente a una attività di geometra e agrimensore, che gli permette, ma soltanto per pochi anni, di migliorare la propria situazione economica.

Lo sfruttamento feudale

Il suo lavoro consisteva infatti nel determinare i diritti signorili, tipici di una società feudale, che gravavano sulle terre, diritti spesso soggetti a prescrizioni, a trascuratezza e a contestazioni. La nobiltà feudale, e specialmente la piccola proprietà nobiliare, nella seconda metà del Settecento vorrà mettere una particolare cura nel tutelare e rivendicare tali diritti a fronte delle continue maggiori spese cui doveva far fronte: è questa, nella sostanza, la causa della violenta e acrimoniosa reazione feudale che giocherà una funzione importante negli sviluppi della crisi del regime feudale francese. Lo stesso Babeuf scriverà nel 1795 che «fu proprio nella polvere degli archivi signorili che scoprii i misteri delle usurpazioni della casta nobiliare», una scoperta e una consapevolezza maggiore di tanti rivoluzionari ben più noti e celebrati di lui.

Se pur è vero che in diverse regioni della Francia il tradizionale sfruttamento feudale della nobiltà terriera sui contadini era da tempo in regressione, trasformandosi nelle moderne forme di proprietà capitalistiche, in altre regioni, come la Piccardia, per non dire della Vandea, esso era la regola ed era aggravata, oltre che dall’esplosione demografica, che produceva una massa di braccianti sovradimensionati rispetto alle possibilità di lavoro, dalla riduzione dei diritti collettivi sulla terra dei quali tradizionalmente godeva – come il diritto di pascolo e di utilizzo di beni comuni – e dalla congiuntura economica che, con l’aumento del prezzo della terra, favoriva la vendita della terra, con il conseguente accentramento in grandi proprietà e un altrettanto conseguente disoccupazione.

La corrispondenza con l’Accademia di Arras

Jean-Jacques Rousseau

Nel 1785 entra in corrispondenza con il segretario dell’Accademia di Arras, Dubois de Fosseux, che si occupa di raccogliere e comunicare analisi della situazione delle campagne e dei progetti atti a migliorarne la situazione. L’occasione gli era stata offerta da un concorso bandito dall’Accademia a cui Babeuf partecipò, senza successo, avendo mandato in ritardo il suo manoscritto che svolgeva una tesi sulla grande proprietà agraria.

Mostra la sua vicinanza alle idee di Rousseau quando il 27 novembre 1786 scrive di essere «fautore di un sistema assai noto, che si alimenta dell’idea della felicità sociale e consiste nella pretesa che la popolazione è la misura dell’aumento della ricchezza comune», in opposizione alle opinioni fisiocratiche, che credono che minore è la popolazione e maggiore sarà la ricchezza nazionale relativa. E il 13 dicembre scrive al segretario dell’Accademia di dedicarsi «alla formazione o piuttosto alla conservazione del fisico dei miei rampolli e per questo ho seguito, quanto meglio ho potuto, il noto sistema di quelli fra i nostri pensatori moderni che stimo essere i più ragionevoli» e cita i sistemi educativi svolti da Rousseau nel suo Emile.

In una lettera del 21 marzo 1787 propone tre soggetti per il concorso accademico previsto nel 1789: nel primo suggerisce di abolire l’uso di lasciare annualmente incolto, a maggese, un terzo delle terre coltivabili; nel secondo, si pone il problema di stabilire «la più giusta determinazione della quantità, della situazione locale, dei limiti, dei diritti e dei doveri di tutte le parti»; nel terzo si esprime a favore, pur mantenendo una forma dubitativa, della coltivazione collettiva della terra: «quale sarebbe lo stato di un popolo le cui istituzioni sociali fossero tali che regnasse indistintamente, presso ciascuno dei suoi membri individuali, la più perfetta eguaglianza, che il suolo da lui abitato non appartenesse a nessuno ma a tutti, che infine tutto fosse comune, compresi i prodotti di ogni genere di industria. Simili istituzioni sarebbero autorizzate dalla Legge naturale? Sarebbe possibile che siffatta società sussistesse e anche che fossero praticabili i mezzi d’osservare una ripartizione assolutamente eguale?».

Il 23 maggio comunica al segretario dell’Accademia il suo progetto di stabilire un nuovo Cadastre perpétuel, un Catasto perpetuo, per mettere a punto il quale si era recato a Parigi per contattare il matematico Audiffret che aveva messo a punto un “grafometro trigonometrico”, un goniometro di agrimensore con il quale Babeuf si propone di «eseguire la più esatta misurazione di ogni oggetto raggiungibile dallo sguardo» in modo da determinare esattamente la misura delle proprietà terriere e, di qui, l’esatta imposta dovuta dai proprietari. Il progetto voleva incidere sulle ingiustizie fiscali per le quali si tassavano le piccole proprietà – facilmente misurabili e note – mentre rimanevano evase parte delle grandi proprietà, per lo più sconosciute allo Stato. L’Accademia lascerà cadere il progetto che Babeuf ripresentò nel 1789 all’Assemblea Nazionale.

Dubois de Fosseux, nel giugno del 1787, trasmise a Babeuf l’opuscolo di un avvocato di Orléans, un certo Collignon, intitolato L’Avant-coureur du changement du mond entier (Il Riformatore del mondo intero). Nella sua lettera di risposta dell’8 luglio Babeuf si dichiara entusiasta: «come amo il Riformatore generale! È un vero peccato che egli lasci un vuoto a proposito dei mezzi […] per realizzare una grande rivoluzione bisogna operare grandi mutamenti […] tra gli uomini ci devono essere le minime differenze? La Natura […] ha voluto che un individuo fosse nutrito, vestito, alloggiato meno bene di un altro? […] Mi sembra che il nostro Riformatore vada oltre il Cittadino di Ginevra […] come lui, sostiene che, essendo tutti gli uomini eguali, non devono possedere nulla in particolare, ma godere di tutto in comune e in modo che, nascendo, ogni individuo non sia né più né meno ricco, né meno considerato di ciascuno di quelli che lo circondano […]».

Scorcio della Cattedrale di Arras

In questa stessa lettera si mostra favorevole all’adozione in tutta la Francia di un nuovo codice di leggi, sull’esempio dell’iniziativa presa anni prima da Federico II – a quel tempo universalmente considerato un principe illuminato – perché in tal modo crede che si porrebbe un freno alla molteplicità degli usi e delle usurpazioni del diritto tipici dei regimi feudali, alle «rivoltanti distinzioni in tutti gli ordini della società. Chiunque fu meno feroce, meno astuto o più sfortunato nella lotta, finì con l’essere servo e oggetto del disprezzo altrui. Di qui, ancora, la formazione di codici bizzarri che servirono agli usurpatori come titoli che legittimavano i loro saccheggi e come irrevocabili decreti, per le famiglie vinte, di confisca delle loro proprietà […] coloro che avevano più ascendente e preponderanza grazie alle proprie ricchezze fecero stabilire, nelle assemblee convocate per la redazione di siffatti codici, articoli a loro piacimento».

La corrispondenza con l’Accademia di Arras si interrompe definitivamente il 21 aprile 1788: Babeuf aveva compreso la vacuità di quell’Istituzione che, come tante altre, discuteva e proponeva di tutto senza avere la volontà – e forse neanche l’interesse – di concludere alcunché. Ma le lettere che si sono conservate sono preziose per la ricostruzione delle convinzioni del prossimo rivoluzionario.

Babeuf e l’Illuminismo

Non sappiamo esattamente quali libri possedesse e avesse letto Babeuf; di lui, abbonato al Mercure de France e a L’Année littéraire, si sa che, giovane, lesse di Mably i Principes de la législation, del Vauban la Dîme royale, di Rousseau ilDiscours sur l’origine de l’inégalité parmi les hommes, l’Emile, le Confessions e, negli ultimi anni, Le Contrat social, oltre al Code de la nature del Morelly e gli scritti di Marat.

Illuminista, pur approvando in gran parte Rousseau, non ne condivise il pessimismo, fiducioso com’era che una cultura diffusa comportasse necessariamente il progresso del genere umano, né l’ispirazione religiosa, al quale oppose il proprio ateismo e il materialismo diHelvétius.

Autodidatta, conobbe altri autori solo di seconda mano; in compenso, conosceva bene i problemi concreti dei suoi concittadini, per risolvere i quali crederà di dover adottare un programma che andava più lontano di qualunque altro e per il quale diede la vita.

La Rivoluzione

Babeuf è a Parigi il 17 luglio 1789, tre giorni dopo la presa della Bastiglia, per curare la pubblicazione del suo Catasto perpetuo, dedicato all’Assemblea Nazionale, a cui premette un Discorso preliminare che è una sintesi di rivendicazioni democratiche, dal momento, scrive, che è «appunto in favore dell’oppresso ci siamo votati alla redazione dell’opera che pubblichiamo»: richiesta di un’imposta proporzionale – non però progressiva – «che non si vendano più i beni spirituali della Religione, che sia cioè permesso di nascere e morire senz’obbligo di mettere mano alla tasca per pagare le cerimonie d’uso in tali circostanze. Che s’istituisca una cassa nazionale per le sussistenze dei Poveri. Che si stipendino, a carico dei fondi pubblici, i Medici, i Farmacisti e i Chirurghi, perché possano somministrare gratis i loro servigi. Che sia fatto un piano di educazione nazionale di cui possano profittare tutti i Cittadini. Che i Magistrati siano del pari stipendiati con le pubbliche entrate, così da rendere la Giustizia gratuita».

Per vivere, s’impiega nel giornale Le Courrier de l’Europe, inviando a Londra le corrispondenze sulla situazione della capitale, in cui alle crescenti difficoltà economiche si univano i problemi dell’approvvigionamento che fecero nascere la credenza di un complotto aristocratico per affamare la popolazione – il pact de famine, patto di carestia.

A ottobre ritorna a Roye, impegnandosi nella richiesta di abolizione delle vecchie tasse feudali; a questo scopo si fa promotore di una petizione, indirizzata all’Assemblea Nazionale, che viene appoggiata da ottocento comuni della Piccardia e dell’Artois (oggi Pas-de-Calais): nell’indirizzo, sostiene che le aides, le imposte indirette, le gabelles, una quantità di tasse date in appalto, e i droits d’entrées aux villes, i dazi comunali, tutte tasse mantenute dall’Assemblea in attesa di una riforma fiscale generale, erano illegittime e «non potevano essere mantenute, nemmeno provvisoriamente, dai Francesi divenuti liberi».

Il Comitato delle ricerche dell’Assemblea Nazionale – una commissione incaricata di proporre l’incriminazione degli imputati di reati politici – definì la Petizione un «libello incendiario»; il 10 maggio 1790 Babeuf si autodenuncia autore della petizione e risponde che un libello «non è uno scritto il cui autore si faccia conoscere pubblicamente, non è uno scritto che tutti si affrettano a sottoscrivere» e denuncia che nemmeno prima della Rivoluzione «l’inquieta tirannide spinse le precauzioni al punto di chiudere decisamente la bocca alle proteste». Arrestato il 19 maggio, è condannato ma viene liberato il 7 luglio per l’intervento tanto di nobili liberali che per la campagna a suo favore dell’Ami du peuple di Marat e il 20 agosto è accolto come un trionfatore nella sua Roye.

Nel suo giornale Le Correspondant picard protesta contro la Dichiarazione dei diritti che solo in apparenza riconosceva l’eguaglianza di tutti i cittadini, dal momento che essi vengono distinti in «attivi», dotati di un reddito e in «passivi», quelli che non hanno nulla e non hanno diritto di voto. Del resto, tra i cittadini attivi, solo l’uno per cento dei più agiati poteva essere ammesso alle urne, eleggendo a deputato chi poteva pagare un contributo di un marco d’argento (52 franchi): i «rappresentanti del popolo» venivano così scelti solo fra i benestanti.

Il suo giornale svolge un’attività di protesta nell’alveo di un programma democratico: si batte contro le pretese ecclesiastiche di reclamare le decime feudali e di quelle nobiliari di poter continuare a disporre dei beni del comune di Roye – i diritti feudali gravanti sui beni saranno aboliti per decreto della Convenzione soltanto il 17 luglio 1793 – attirandosi così l’ostilità dei notabili della cittadina, che riescono ancora a farlo arrestare, ma solo per breve tempo, né queste iniziative lo intimidiscono.

Alla notizia del tentativo di fuga dalla Francia di Luigi XVI, chiede l’instaurazione della Repubblica e sostiene la candidatura dell’abate Coupé de Sermaize all’Assemblea legislativa, ritenendolo – ma ne sarà presto deluso – un sostenitore coerente e inflessibile di un programma politico radicale. Appoggiandolo, non si fa illusioni sull’onestà dei deputati dell’Assemblea – «questo grande teatro in cui tanti personaggi verranno con un ruolo e con una maschera» – e gli suggerisce di «aggirare tutti gli ostacoli e di sventare con astute manovre le macchinazioni e le bricconerie del partito dell’iniquità, di evitare le sorprese e le insidie, di opporre insomma con opportunità e perspicacia una tattica all’altra. Ciò che io vorrei in quest’assemblea sarebbe, tra i sostegni che il popolo può dare, una conoscenza più approfondita delle sue sofferenze e dei suoi bisogni, una maggior risoluzione ad applicare a tanti mali il solo rimedio efficace: più animo per volere con energia e persistenza la soppressione della miseria e dell’ignoranza».

Attacca anche il Robespierre di quegli anni, cui rimprovera di non aver «insistito sulla conseguenza capitale che discende naturalmente dal principio dell’eguaglianza dei diritti: a tutti un’eguale educazione e una sussistenza assicurata. Una simile disposizione, introdotta nella costituzione, avrebbe rappresentato il più grande dei benefici, l’avrebbe resa inviolabile».

Si candida ad amministratore del dipartimento della Somme, dichiarandosi favorevole a una legge agraria che riduca le grandi proprietà – inimicandosi così tutti i moderati del dipartimento e il sindaco di Roye e procuratore della Somme, il signore di Longuecamp – e viene eletto il 17 settembre 1792. Commette, per quanto in buona fede, un’irregolarità su un atto di vendita, della quale si accorge il Longuecamp che lo minaccia d’arresto e Babeuf preferisce fuggire, nei primi del 1793, a Parigi.

A Parigi

Nella capitale si avvicina al movimento sanculotto e con il suo appoggio ottiene un impiego amministrativo nella sussistenza. Viene tuttavia raggiunto dalla giustizia per l’irregolarità commessa in precedenza e resta in carcere dal 14 novembre 1793 al 18 luglio 1794, dieci giorni prima dell’esecuzione di Robespierre e degli altri giacobini sostenitori del Terrore.

Pubblicò il primo numero del suo Journal de la Liberté de la Presse presto cambiato in Tribun du peuple (5 ottobre 1794). Gracco Babeuf prese le parti del regime caduto, attaccando violentemente i fautori della politica termidoriana, che tanti privilegi aveva consentito. Il suo atteggiamento ebbe pochi consensi anche tra i giacobini così in ottobre venne arrestato e imprigionato ad Arras. In carcere conobbe Filippo Buonarroti, Germain e René-François Lebois, editore del Journal de l’Égalité.

La Società degli Eguali

Furono i tentativi del Direttorio di occuparsi della crisi economica, dunque, che dettero a Babeuf la sua importanza storica. Il nuovo governo, infatti, si impegnò ad abolire i privilegi di cui Parigi si era alimentata a scapito di tutta la Francia e, dal 20 febbraio 1796, divenne necessario porre un maximum sui prezzi del pane e della carne. L’annuncio causò malcontento diffuso, non soltanto per gli operai e la vasta classe di proletari, che erano emigrati a Parigi in cerca di fortuna, ma anche per gli impiegati statali, che venivano pagati tramiteassegnati fissati dal governo. Tutti gli espedienti che dovevano attenuare la crisi, pertanto, non fecero che ingigantire l’allarme.

La miseria diffusa divenne il principale palcoscenico per i pesanti attacchi di Babeuf, che, in quegli anni, si era guadagnato numerosi ammiratori. Aveva intorno a sé un piccolo circolo di seguaci, conosciuto come Societé des égaux, che, ben presto, si trovò a confrontarsi con il partito giacobino che incontrò al Pantheon. Nel mese di novembre del 1795 venne segnalato dalla polizia per aver predicato apertamente all’insurrezione, la sommossa e la costituzione del 1793. La Società venne influenzata dagli scritti di Sylvain Maréchal, autore di Le Manifeste des Egaux, nonché simpatizzante di Babeuf.

Per un certo tempo, il governo si tenne informato alle attività del gruppo, seppure non intervenendo direttamente. Il Direttorio lasciò crescere l’ideale socialista con lo scopo di dissuadere la gente dall’associarsi ai movimenti monarchici, che desideravano il rovesciamento del regime attuale.

Con la crescita della crisi economica, tuttavia, l’influenza di Babeuf aumentò e, dopo che Napoleone Bonaparte chiuse la società il 27 febbraio 1796, anche l’aggressività del gruppo raddoppiò. In Ventoso e Germile, sotto lo pseudonimo di Lalande, soldat de la patrie, un nuovo pamphlet, il Eclaireur du Peuple, ou le Défenseur de Vingt-Cinq Millions d’Opprimés, venne diffuso clandestinamente a Parigi.

Arresto e morte

La canzone di Babeuf Mourant de faim, mourant de froid (Morire di fame, morire di freddo) era diventata una famosa aria popolare e cominciò ad essere cantata nei café e si cominciava a pensare a una rivolta armata nei confronti dell’esercito rivoluzionario francese.

Il Direttorio pensò fosse tempo di agire. Il 10 maggio Babeuf, che aveva preso lo pseudonimo di Tissot, venne arrestato; molti degli associati vennero segnalati alla polizia: tra questi c’erano Augustin Alexandre Darthé e Filippo Buonarroti, ex-membri della Convenzione Nazionale, Robert Lindet, Jean-Pierre-André Amar, Marc-Guillaume Alexis Vadier e Jean-Baptiste Drouet.

Il provvedimento severo preso dal governo riuscì. Il processo di Babeuf e gli altri cominciò il 20 febbraio 1797 a Vendôme e durò due mesi. Il 26 maggio 1797 Babeuf e Darthè vennero condannati a morte, alcuni, come Buonarroti furono esiliati, gli altri, tra cui Vadier, incarcerati. Darthè fu ghigliottinato a Vendôme il giorno successivo. Babeuf si accoltellò nella sua cella, per cui, come accaduto a Robespierre, venne ghigliottinato ormai moribondo.

Il corpo di Babeuf venne trasportato e sepolto in una fossa comune dell’antico cimitero del Grand Faubourg di Vendôme, nella Loir-et-Cher.