Bailly Jean Sylvain

1736 - 1793

Bailly Jean Sylvain

ID: 4045

Jean Sylvain Bailly (Parigi, 15 settembre 1736 – Parigi, 12 novembre 1793) è stato un matematico, astronomo, politico e letterato francese.Considerato un massone, presiedette il Giuramento della Pallacorda, fu eletto come primo sindaco di Parigi, rimanendo in carica tra il 1789 e il 1791, e fu infine ghigliottinato durante il Regime del Terrore.

Biografia

Giovinezza

Nato a Parigi il 15 settembre 1736, Bailly era il figlio unico di Jacques Bailly, artista e supervisore del Louvre, come responsabile della protezione dei dipinti del re, e di Cécile Guichon. Il nonno paterno era Nicholas Bailly, anche lui artista e pittore di corte. Da oltre cento anni la famiglia Bailly si occupava della custodia dei dipinti reali.

Bailly non si allontanò da casa durante l’infanzia per studiare in un istituto privato ma, probabilmente per un eccesso di «tenerezza» della madre, fu spinto a rimanere a casa studiando sotto la supervisione dei genitori.

Per quanto riguarda il rapporto con il padre Jacques, come ricorda Arago nella sua biografia di Bailly, bisogna dire che fu piacevole per il piccolo Sylvain. I due avevano delle personalità ben differenti: il padre aveva un carattere leggero e svogliato; invece il giovane Sylvain aveva mostrato precocemente un vivace intelletto e una forte passione per studio. Così Jacques fu l’unico vero e proprio elemento di allegria «rumorosa» nell’infanzia del giovane Bailly che lo ricordardava perciò affettuosamente. Per il padre, un eventuale isolamento sarebbe stato fatale; la sua vita, irrequieta, era piena di movimento, tra uscite, piacevoli conversazioni e facili feste gratuite. Invece il figlio riusciva a rimanere da solo anche per giorni interi, restando addirittura in assoluto silenzio, né Sylvain ebbe mai bisogno di cercare la compagnia dei coetanei. Già nell’infanzia, scrive Arago, Bailly «era di una grande sobrietà sia nelle abitudini che nei gusti».

Arago riporta proprio alcune parole rivolte dal padre ai suoi domestici o a qualche suo amico, dopo aver commesso una qualche piccola impudenza:

(FR)« Ne parlez pas à mon fils de cette peccadille. Sylvain vaut mieux que moi; sa morale est d’une grande sévérité. Sous les formes les plus respectueuses, j’apercevrais dans son maintien un blâme qui m’affligerait. Je désire éviter qu’il me gronde même tacitement, même sans mot dire. »(IT)« Non parlare con mio figlio di questo peccatuccio. Sylvain è meglio di me; la sua morale è molto severa. Sotto le forme più rispettose, percepisco nel suo portamento una colpa che mi affligge. Vorrei evitare che mi rimproveri, anche silenziosamente, anche senza bisogno di parole. »
(Parole del padre di Bailly riportate nella Biographie de Jean-Sylvain Bailly di François Arago)

Respirando arte in casa, Bailly quasi naturalmente si interessò dei principi artistici e ne fece studio «profondo e fecondo», diventando anche «un artista teoretico di primo lignaggio», anche se in realtà, diversamente dal padre che invece «disegnava splendidamente», Bailly non aveva mai imparato né a disegnare né a dipingere se non mediocremente.

Jacques e Sylvain avevano però entrambi un forte punto di contatto, un interesse comune: la poesia e il teatro. Jacques compose delle canzoni, degli intermezzi, e delle parades ossia delle scenette per i teatri itineranti utilizzati nella commedia dell’arte per attirare il pubblico. Sylvain invece debuttò a sedici anni con un lavoro serio e di lunga durata, una tragedia intitolata Clotaire. L’opera, tratta da una storia abbastanza antica, raccontava le torture che una barbara folla aveva fatto provare ad un sindaco di Parigi.

Il lavoro era stato presentato all’attore e commediografo francese La Noue, amico del padre di Bailly, il quale, pur dando a Bailly un lusinghiero incoraggiamento, aveva francamente esposto le sue perplessità a proposito di un’eventuale esecuzione pubblica dell’opera. Su indicazione di La Noue, Bailly comunque riprese il soggetto di Ifigenia in Tauride per comporre un’altra opera teatrale, sperando in un maggior successo. Tale fu l’ardore di Bailly, che in soli tre mesi aveva già terminato il quinto atto della nuova tragedia e, dopo averla conclusa e revisionata, corse a Passy, dove si trovava La Noue, per sollecitarlo a prendere una nuova decisione, fiducioso questa volta di un responso positivo. Ma La Noue – leggendo l’opera – si rese conto che Bailly non era destinato alla carriera del teatro, e glielo disse in faccia senza mezzi termini. Bailly allora, amareggiato, decise di bruciare entrambe le tragedie gettandole nel fuoco.

Poi, casualmente, avvenne l’incontro di Bailly con la matematica. Infatti, il famoso matematico Moncarville si era offerto di insegnargli questa materia in cambio delle lezioni di disegno che il proprio figlio aveva ricevuto da Jacques Bailly. I genitori si misero d’accordo, e Bailly incominciò a studiare matematica e geometria sotto la supervisione di Moncarville. I progressi di Bailly in questi nuovi studi furono veloci e brillanti.

Allievo di Lacaille

Nicolas-Louis de Lacaille

Eccellente giovane studente di matematica con una «memoria particolarmente estesa e un’inesauribile pazienza», Bailly poco tempo dopo aveva avuto un incontro provvidenziale per la sua carriera futura: era stato a casa di un’artista, Mademoiselle Lejeuneux conosciuta in seguito come Madame La Chenaye, che Nicolas de Lacaille aveva incontrato per la prima volta Bailly. Il contegno attento, serio, e modesto dello studente incantò il famoso astronomo, che dimostrò in maniera inequivocabile la sua ammirazione verso il giovane offrendosi di diventare suo maestro e guida negli studi astronomici, e promettendogli di metterlo in contatto con Alexis Clairault.

Si dice che sin dal suo primo incontro con Lacaille, Bailly mostrò una decisa vocazione per l’astronomia. In effetti al periodo della prima apparizione di Lacaille, troviamo associate alcune delle indagini di Bailly più laboriose e difficili.

Il biennio 1758-1759 fu caratterizzato da un grande evento: la cometa di Halley, apparsa nell’ultima volta nel 1682, era tornata nel periodo predetto da Clairault, e quasi nella stessa regione che l’analisi matematica aveva predetto, dal momento che grazie al calcolo integrale (scoperto da Isaac Newton) si poteva prevedere scientificamente il passaggio della cometa.

Gli studi portati avanti dagli astronomi in quegli anni stabilirono che le comete erano corpi celesti distinti dalle meteore sublunari; non solo, le osservazioni dimostrarono definitivamente che molte di esse avevano, come orbite, delle curve chiuse, invece che parabole o mere e semplici linee rette; in altre parole, questi corpi avevano cessato per sempre di essere responsabili di superstizioni.

La stringenza, l’importanza di questi risultati, sarebbe naturalmente aumentata in proporzione alla somiglianza tra l’orbita preannunciata dai calcoli matematici e l’orbita reale. Proprio questo motivo determinò il fatto che moltissimi astronomi si diedero da fare, in tutta Europa, per calcolare l’orbita della cometa minuziosamente a partire dalle osservazioni fatte nel 1759. Bailly fu uno di quegli zelanti calcolatori.

Bailly risiedeva al Louvre. Era determinato a svolgere contemporaneamente studi di teoria e pratica di astronomia avanzata, aveva un osservatorio istituito a partire dall’anno 1760, in una delle finestre del piano superiore della galleria sud che si affacciava che sul Pont des Arts. Grazie al suo modesto osservatorio Bailly poté comunque effettuare numerose osservazioni registrando accuratamente le minuzie dei movimenti celesti. Le prime osservazioni fatte da lui sono datate agli inizi del 1760 quando il giovane alunno di Lacaille non aveva ancora 24 anni di età. Queste prime osservazioni si riferiscono a una opposizione del pianeta Marte. Nello stesso anno, Bailly determinò le opposizioni di Giove e di Saturno.

L’anno successivo lo vediamo ancora con Lacaille, questa volta per osservare il transito di Venere sul disco del sole. Fu uno straordinario colpo di fortuna, per l’inizio della sua vita scientifica, per aver testimoniato in successione due degli eventi astronomici più interessanti dell’epoca: il ritorno predetto e ben definito di una cometa; e una delle eclissi parziali di Sole causate dalla congiunzione con Venere, che non si ripetono se non dopo un periodo di centodieci anni, e grazie alle quali la scienza ha dedotto un metodo indiretto ma preciso, grazie al quale è stato possibile calcolare la distanza media del sole della terra.

Bailly in giovane età.

Nel conteggio dei lavori astronomici di Bailly, che lui eseguì prima di diventare membro dell’Accademia delle Scienze, bisogna aggiungere vari altri risultati ottenuti: per quanto riguarda le osservazioni della cometa del 1762, il calcolo della sua orbita parabolica; una discussione su quarantadue osservazioni della luna di La Hire, un lavoro dettagliato destinato a fungere da punto di partenza per qualsiasi persona che si occupava di teoria lunare; infine, la descrizione di 515 stelle zodiacali nell’Observations sur 515 étoiles du Zodiaque (pubblicato nel 1763), osservate precedentemente da Lacaille tra il 1760 e il 1761.

Le osservazioni e i primi successi scientifici guadagnarono a Bailly l’elezione all’ Académie des Sciences nel 1763, alla giovane età di 26 anni.

All’Accademia delle scienze e ricerche sui satelliti di Giove

Bailly fu nominato membro dell’Accademia delle Scienze il 29 gennaio 1763. Da quel momento il suo zelo astronomico non conobbe più alcun limite, grazie alla moltitudine di lavori letterari e scientifici che lui scrisse in pochissimi anni.

Le prime ricerche di Bailly sui satelliti di Giove iniziarono nel 1763. Come scrive Arago: «avendoli studiati in tutte le loro generalità, [Bailly] si mostrò un calcolatore infaticabile, un geometra chiaroveggente, e un osservatore operoso e capace. Le ricerche di Bailly sui satelliti di Giove, saranno per sempre la sua prima e principale rivendicazione di gloria scientifica».

Prima di lui, Giacomo Filippo Maraldi, James Bradley e Pehr Wargentin avevano scoperto empiricamente alcune delle principali perturbazioni che i satelliti di Giove subivano, nei loro movimenti di rotazione attorno al pianeta; ma fino ad allora non erano ancora stati scoperti i principi di attrazione universale. Bailly fu il primo a muoversi in questo senso comparando i precedenti dati sperimentali con le nuove teorie fisiche newtoniane.

La conoscenza dei moti dei satelliti si basava quasi interamente sulla osservazione del preciso momento in cui ciascuno di essi scompariva, entrando nel ombra conica, che il grande globo opaco di Giove proiettava sul lato opposto al sole. Nel corso di una discussione su una moltitudine di queste eclissi, Bailly non tardò a percepire che la computazione delle tabelle sui satelliti lavorava su dati numerici che non erano affatto paragonabili gli uni con gli altri. Questo sembrava di poca importanza nell’epoca antecedente alla nascita della teoria delle perturbazioni; ma, dopo la scoperta analitica delle perturbazioni, divenne opportuno stimare i possibili errori di osservazione, e di proporre mezzi per la loro, almeno parziale ma quantomeno significativa, eliminazione. Questo è stato l’oggetto del notevole lavoro che Bailly avrebbe presentato all’accademia nel 1771.

Come Bailly stesso ricordava nelle sue Mémoires, sviluppò una serie di esperimenti, con l’aiuto dei quali ciascuna osservazione poteva dare l’istante preciso della scomparsa reale di un satellite, distinto dall’istante della scomparsa apparente, qualunque fossero la potenza del telescopio utilizzato e l’altezza del corpo eclissato sopra l’orizzonte, e di conseguenza, qualunque fossero la trasparenza degli strati atmosferici attraverso cui il fenomeno si osservava, la distanza di tale corpo dal sole, o dal pianeta ed infine qualunque fosse la sensibilità della vista dell’osservatore. Tutto queste condizioni influenzavano notevolmente il tempo di scomparsa apparente. La stessa serie di osservazioni ingegnose e delicate portarono l’insigne astronomo, molto curiosamente, alla determinazione dei veri diametri dei satelliti, vale a dire, il diametro di piccoli puntini luminosi che, con i telescopi allora in uso, non mostravano un diametro effettivamente percepibile. Bisogna osservare, in effetti, che i diaframmi utilizzati da Bailly non erano destinati solo a diminuire la quantità di luce che contribuiva alla formazione delle immagini, ma aumentavano considerevolmente il diametro almeno nel caso di stelle.

Bailly pubblicò i suoi risultati, all’inizio del 1766, in un lavoro separato con il titolo di Essai sur la théorie des satellites de Jupiter in cui l’autore, prima di esporre le conclusioni a cui era giunto, incominciava a parlare della storia degli studi astronomici sui satelliti di Giove. La storia conteneva un’analisi quasi completa delle scoperte di Maraldi, Bradley e Wargentin mentre invece descriveva le fatiche di Galileo e dei suoi contemporanei con meno dettagli e precisione.

Le opere letterarie: gli éloges

Jean Baptiste Le Rond d’Alembert

Quando Bailly entrò nell’Accademia delle Scienze, il Segretario Perpetuo era Grandjean de Fouchy. La pessima salute del segretario aveva portato tutti a pensare ad una morte imminente e perciò ad un posto vacante che si sarebbe presto liberato. Il famoso matematico ed enciclopedista D’Alembert vide in Bailly il probabile successore di Fouchy, e gli propose di scrivere alcune biografie di insigni personaggi (necessarie per l’avanzamento nelle accademie), in modo tale da prepararsi a diventarlo. Bailly seguì il consiglio dell’illustre matematico, e scelse come oggetto dei suoi studi, gli éloges proposti in numerose accademie, principalmente dall’Accademia di Francia.

Dall’anno 1671 fino all’anno 1758, il prix d’eloquence proposto dalla Accademia di Francia era relazionato a questioni religiose e morali. L’eloquenza dei candidati avrebbe dunque dovuto esercitarsi sulla conoscenza dei temi religiosi più importanti: la salvezza, il merito, la dignità del martirio, la purezza dell’anima e del corpo, il pericolo esistente in taluni percorsi di vita che invece appaiono sicuri e così via. Addirittura i candidati dovevano parafrasare l’Ave Maria. Secondo le intenzioni letterali del fondatore (Jean-Louis Guez de Balzac), ogni scritto doveva essere concluso da una breve preghiera. Charles Pinot Duclos pensò, nel 1758, che ormai prediche simili tra di loro avevano esaurito completamente la questione religiosa, e su sua proposta l’Accademia stabilì che, in futuro, come premio per l’eloquenza si sarebbero presi in considerazione gli elogi dei grandi uomini del nazione. Nella lista dei questi patrioti nazionali figuravano all’inizio personaggi quali il Maresciallo de Saxe, René Duguay-Trouin, il Duca di Sully, D’Aguesseau e Cartesio. Più tardi, l’Accademia si sentì autorizzata a proporre éloges per i re stessi, richiedendo all’inizio del 1767, l’Éloge di Carlo V.

Bailly era entrato nelle liste dei candidati, scrivendo un éloge a Carlo V, ma il suo saggio ottenne solo una menzione d’onore.

Commentando l’éloge a Carlo V Arago scrive: «niente è più istruttivo che fare ricerche riguardanti le epoche nelle quali si erano originati i principi e le opinioni di quelle persone che poi agirono ruoli importanti sulla scena politica, e su come tali opinioni si fossero poi sviluppate. Con una fatalità molto deplorevole, gli elementi di queste indagini sono poco numerosi e raramente fedeli. Noi non dobbiamo esprimere questi rimpianti relativamente a Bailly: ogni composizione ci mostra la serena, candida, e virtuosa mente dell’insigne scrittore, attraverso un nuovo e vero punto di vista. L’Eloge di Carlo V è stato il suo punto di partenza, seguito poi da una lunga serie di altri lavori».

Gli scritti approvati dall’Accademia di Francia, non raggiungevano però gli occhi del pubblico se non dopo essere stati sottoposti alla severa censura di quattro Dottori in Teologia. Se siamo sicuri di possedere integralmente l’éloge di Bailly a Carlo V lo possiamo intuire dalla penna dello stesso autore; se non abbiamo motivo di temere che nessun suo pensiero subì una qualche mutilazione, lo dobbiamo ad un breve discorso che Bailly pronunciò durante una seduta dell’Accademia delle scienze nel 1767. Questi pensieri, però, avrebbero sfidato, come scrive Arago «le menti più schizzinose, la suscettibilità più oscure». «Il panegirista [Bailly] — continua Arago — srotola con emozione le disgrazie terribili che assalivano la Francia durante il regno di re Giovanni. La temerarietà, l’imprevidenza di quel monarca; le passioni vergognose del re di Navarra; i suoi tradimenti; l’avidità barbara della nobiltà; la sediziosa disposizione del popolo; i saccheggi sanguinosi delle grandi imprese; l’insolenza ricorrente dell’Inghilterra; esprimendo tutto questo senza veli, ma con estrema moderazione. Nessun tratto rivela, nessun fatto narrato prefigura l’autore come futuro presidente dell’Assemblea nazionale costituente, né tanto meno come sindaco di Parigi nel corso di una effervescenza rivoluzionaria».

Nel 1767, l’Accademia di Berlino premiò Bailly per l’Éloge a Leibnitz. Il pubblico ne fu sorpreso: l’elogio a Leibnitz di Bernard le Bovier de Fontenelle era stato così forte, completo e dettagliato che nessuno pensava potesse essere addirittura eguagliato. Ma quando il saggio di Bailly, incoronato in Prussia, fu pubblicato, le vecchie impressioni erano abbastanza cambiate. Molti critici affermarono che l’elogio di Bailly a Leibnitz poteva essere letto con piacere e beneficio anche dopo quello di Fontenelle.

Bailly così scrisse nell’Éloge de Leibnitz:

(FR)« La nature est juste; elle distribue également tout ce qui est nécessaire à l’individu, jetté sur la terre pour vivre, travailler, et mourir; ellé réserve à un petit nombre d’hommes le droit d’éclairer le monde, et en leur confiant les lumières qu’ils doivent répandre sur leur siècle, elle dit à l’un: tu observeras mes phénomènes; à l’autre: tu seras géomètre; elle appèle celui-ci à la connaissance des lois; elle destine celui-là à peindre les mœurs des peuples et les révolutions des empires. Ces génies passent en perfectionnant la raison humaine, et laissent une grande mémoire après eux. Mais tous se sont partagés des routes différentes: un homme s’est élevé qui osa être universel, un homme dont la tête forte réunit l’esprit d’invention à l’esprit de méthode et qui sembla né pour dire au genre humain: regarde et connois la dignté de ton espèce! A ces traíts l’Europe reconnoit Leibnitz. »(IT)« La natura è giusta, distribuisce equamente tutto ciò che è necessario all’individuo, catapultato sulla terra, per vivere, lavorare e morire; tuttavia riserva solo a un piccolo numero di esseri umani il diritto di illuminare il mondo, e affidando a loro le luci che questi dovranno diffondere durante tutto il loro secolo, dice a uno «osserva i miei fenomeni» e all’altro «tu sarai un geometra»; designa quest’uno alla conoscenza delle leggi e quest’altro a dipingere la morale delle persone, le rivoluzioni degli imperi. Questi geni vanno via dopo aver perfezionato la ragione umana, e lasciano dietro di loro una grande memoria. Ma tutti loro hanno viaggiato per vie diverse: un solo uomo si elevò, ed ebbe il coraggio di diventare universale, un uomo la cui forza di volontà ha riunito il suo spirito d’invenzione col suo spirito metodico, e che sembrava essere nato per dire al genere umano «guarda e conosci la dignità della tua specie»! Con questi tratti l’Europa ha riconosciuto Leibniz. »
(Bailly nel suo Éloge de Leibnitz.)

Nel 1768, Bailly ottenne il prix d’eloquence proposto dall’Accademia di Rouen con il suo Éloge a Pierre Corneille. «Leggendo questo lavoro [di Bailly] — scrive Arago — possiamo rimanere un po’ sorpresi dalla distanza immensa che il modesto, timido e sensibile Bailly pone tra il grande Corneille, il suo prediletto autore teatrale, e Jean Racine».

Quando l’Accademia di Francia, nel 1768, propose una competizione per gli éloges a Molière, Bailly si piazzò al secondo posto, venendo sconfitto solo da Chamfort. «Tuttavia — come scrive Arago — […] forse mi permetto di affermare che, nonostante una certa inferiorità di stile, il discorso di Bailly ha offerto un più ordinato, più vero e più filosofico apprezzamento dei pezzi principali di quel poeta immortale [rispetto a quello di Chamfort]».

Non solo, Bailly scrisse anche un éloge al suo maestro Lacaille, scomparso nel 1762. Nell’éloge Bailly scrisse: «Non voglio aggiungere nulla agli onori che lui ha ricevuto; ma avrò onorato me stesso nel fare un suo elogio; quest’ultimo tributo mancava tra i doveri che mi sarebbe piaciuto fargli. […] È stato grazie alla gentilezza di M. Lacaille che io ho potuto avere le mie prime conoscenze dell’astronomia; perciò permettetemi di elogiare il mio maestro. Non voglio essere incolpato ripetendo le lodi di un uomo illustre e virtuoso. Ma non si possono non aumentare troppo i doveri dell’amicizia e della riconoscenza, e gli uomini utili non hanno mai abbastanza lodi».

L’incontro con Benjamin Franklin

Bailly diventò amico intimo di Franklin al termine del 1777.

Il primo incontro tra i due fu abbastanza strano, almeno secondo i commentatori dell’epoca. Franklin arrivò nel 1777 come ambasciatore americano in Francia: molto probabilmente arrivò con alcuni pregiudizi stereotipati sui francesi (sul loro essere loquaci, pettegoli e chiacchieroni). Franklin alloggiava proprio a Chaillot. Poiché abitava nello stesso comune, Bailly sentì il dovere di visitare un uomo tanto importante. Bailly gli fu annunciato e Franklin, conoscendo la sua reputazione, gli diede cordialmente il benvenuto. Dopo essersi scambiati alcune parole occasionali Bailly si sedette vicino a lui e, con discrezione, iniziò ad aspettare che gli venisse posta una qualche domanda; era passata circa mezz’ora ma Franklin non aveva ancora aperto bocca. Bailly allora prese la sua tabacchiera, e la porse al vicino senza una parola; Franklin con un cenno della mano fece segno di non voler fumare. L’incontro silenzioso continuò un’altra mezz’ora, dopodiché Bailly finalmente si alzò. E mentre l’astronomo francese era sul punto di salutare, Franklin, deliziato di aver finalmente trovato un francese che potesse rimanere in silenzio così a lungo, gli diede la mano e gliela strinse con molto affetto esclamando: «Molto bene, Monsr. Bailly, molto bene!».

L’amicizia perdurò a lungo per tutta la permanenza di Franklin in Francia, fino al 1785. I due continuarono a scriversi lettere, ad incontrarsi, disquisendo di questioni scientifiche e collaborarondo in seguito insieme all’indagine sul mesmerismo.