Emanuele Filiberto di Savoia

1528 - 1580

Emanuele Filiberto di Savoia
Nazione: Francia

ID: 2222

Emanuele Filiberto di Savoia detto Testa ‘d Fer (“Testa di ferro” in piemontese) (Chambéry, 8 luglio 1528 – Torino, 30 agosto 1580) fu conte di Asti (dal 1538), duca di Savoia, principe di Piemonte e conte d’Aosta, Moriana e Nizza dal 1553 al 1580. Fu anche re titolare di Cipro e Gerusalemme. Era il figlio secondogenito maschio di Carlo II di Savoia (1486 – 1553) e di Beatrice del Portogallo (1504 – 1538).

Biografia

Emanuele Filiberto era stato destinato alla carriera ecclesiastica quale figlio cadetto ma, alla morte del fratello Ludovico (1536), in previsione della successione venne indirizzato allo studio delle lettere e delle armi. Il ducato che ereditò alla morte del padre nel 1553 era il campo di battaglia delle lotte tra francesi e spagnoli e proprio in quell’anno venne occupato dalle truppe di Enrico II re di Francia.

Iniziato giovanissimo alla vita politica e militare, nel 1543 entrò al servizio dello zio Carlo V Imperatore del Sacro Romano Impero, diventato Carlo I re di Spagna. Fu zio acquisito e cugino avendo sposato Isabella del Portogallo cugina di primo grado e sorella di Beatrice. Emanuele Filiberto, con l’obiettivo di recuperare le proprie terre, prese parte alle vittorie imperiali di Ingolstadt nel (1546) e di Mühlberg nel 1547 dove, sotto il comando di Maurizio di Sassonia, eseguì gli ordini con tale precisione e rapidità da contribuire in maniera decisiva alla vittoria finale. Successivamente si recò in Spagna stringendo amicizia con il cugino di secondo grado Filippo II e partecipando alla difesa di Barcellona contro un attacco marittimo francese nel 1551. Prestò servizio anche con Ferrante I Gonzaga nella guerriglia tra spagnoli e francesi in Piemonte, quindi tornò nuovamente da Carlo V guidando l’esercito imperiale, come comandante supremo, alla presa di Metz e Bra (1552).

Nel 1553 fu nominato luogotenente generale e comandante supremo dell’esercito spagnolo nelle Fiandre e nel 1556 ebbe da Filippo II la carica di governatore dei Paesi Bassi. Nel 1557, alla ripresa delle ostilità, dopo l’effimera tregua di Vaucelles, inflisse alle truppe francesi guidate da Anne de Montmorency e da Gaspard de Coligny la decisiva sconfitta di San Quintino. La successiva pace di Cateau-Cambrésis (1559) premiò Emanuele Filiberto con la restituzione dei suoi stati, ad eccezione di alcune fortezze che rimasero ancora per qualche anno in mano francese e spagnola, e del territorio ginevrino a cui veniva riconosciuta l’indipendenza. La pacificazione fu sancita dal matrimonio del duca di Savoia con Margherita di Francia, figlia di Francesco I re di Francia. Nel 1574 riuscì ad ottenere dal re di Francia Enrico III le città di Savigliano e Pinerolo, e nel 1575 ottenne dalla Spagna Asti e Santhià. Tentò a lungo, senza riuscirvi, di entrare in possesso anche dei marchesati di Monferrato e di Saluzzo, il primo in potere dei Gonzaga, il secondo della Francia.

Convinto che l’unica possibilità di sopravvivenza per il ducato stesse nell’unificazione politico-militare degli innumerevoli feudi che lo componevano e nell’accentramento dei poteri nella corona, Emanuele Filiberto abolì praticamente le congregazioni generali (sorta di stati provinciali che avevano a volte limitato l’autorità dei suoi predecessori), riformò gli statuti municipali e feudali, sopprimendo antiche autonomie; centralizzò il controllo finanziario in un’unica corte dei conti. Il rafforzamento dell’elemento piemontese nel ducato si espresse tra l’altro con l’imposizione dell’italiano nella legislazione (reso ufficiale nel 1562) e con il trasferimento della capitale da Chambéry a Torino, avvenuto il 7 febbraio 1563. Emanuele Filiberto cercò con ogni mezzo di ridare impulso all’economia del ducato, prostrato dalle devastazioni e dalle occupazioni straniere: favorì lo sviluppo della canalizzazione, incoraggiò l’immigrazione di artigiani e coloni, abolì la servitù della gleba, promosse lo sviluppo delle manifatture con esenzioni e sovvenzioni, moltiplicò gli istituti di credito. I risultati di questa politica furono solo parziali, ma diedero comunque al duca le risorse necessarie per la costituzione di un piccolo ma disciplinato esercito basato sulle milizie provinciali, e non più sulle leve feudali o sulle truppe mercenarie; anche le fortificazioni ricevettero notevole impulso e una piccola flotta sabauda, al comando dell’ammiraglio Andrea Provana di Leinì si distinse nella battaglia di Lepanto (1571).

Uno dei primi provvedimenti di Emanuele Filiberto, ancor prima di entrare in Torino fu di abolire l’uso del latino nei tribunali e nella burocrazia a favore del francese nei domini a ovest delle Alpi e nella Valle d’Aosta e del volgare (italiano) in quelli ad est (Piemonte) e sud (contado di Nizza). Ci fu quindi una prima spinta ufficiale verso l’uso dell’italiano.

In campo religioso Emanuele Filiberto seguì l’indirizzo della Controriforma, applicando coscienziosamente i decreti del concilio di Trento, ma non rinunciò a difendere i diritti dello stato contro l’ingerenza della chiesa e concesse ai valdesi delle valli alpine una relativa libertà di culto con la pace di Cavour del 1561. Anche l’istruzione fu curata, e nel 1566 lo Studio fu trasferito da Mondovì a Torino e potenziato con la chiamata di insegnanti stranieri. Curiosamente Emanuele Filiberto era un appassionato alchimista e si dilettava a lungo, specie nelle ore notturne, con storte ed alambicchi.

Emanuele Filiberto morì di cirrosi epatica, conseguenza diretta dell’abuso di vino a cui era solito, nell’agosto 1580. Lasciò al suo successore una buona eredità, consistente in uno Stato ormai saldo ed avviato a svolgere un ruolo di potenza mediana e di “ago della bilancia” nelle vicende politico-militari europee dei secoli successivi. Venne sepolto presso la cattedrale di Torino e traslato nella Cappella della Sindone solo tre secoli dopo.

Il monumento ad Emanuele Filiberto

La memoria del duca “Testa di ferro” rimase ben viva nel ricordo dei suoi sudditi e successori: Emanuele Filiberto veniva considerato uno dei fondatori dello stato sabaudo. Per celebrarne la memoria, la città di Torino affidò a Carlo Marochetti l’incarico di realizzare una statua equestre che raffigurasse il grande condottiero. L’opera, inaugurata il 4 novembre 1838 in piazza San Carlo, è conosciuta dai torinesi con il nome di caval ëd bronz (cavallo di bronzo) ed è diventata, nel corso degli anni, uno dei simboli della città, accanto alla Mole Antonelliana.

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