Vecellio Tiziano

1488 - 1576

Vecellio Tiziano
Nazione: Francia

ID: 794

Autografi

Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1480/1485 – Venezia, 27 agosto 1576) è stato un pittore italiano, cittadino della Repubblica di Venezia.

 

Artista innovatore e poliedrico, maestro con Giorgione del colore tonale, Tiziano Vecellio fu uno dei pochi pittori italiani titolari di una vera e propria azienda, accorto imprenditore della bottega oltre che della sua personale produzione, direttamente a contatto con i potenti dell’epoca, suoi maggiori committenti. Il rinnovamento della pittura di cui fu autore si basò, in alternativa al michelangiolesco «primato del disegno», sull’uso personalissimo del colore.

Tiziano usò la forza espressiva del colore materico e poi, entrando nella piena maturità, abbandonò la spazialità bilanciata, il carattere solare e fastoso del colore del Rinascimento, assumendo il dinamismo proprio del manierismo e giocando con libertà nelle variazioni cromatiche in cui il colore era reso “più duttile, più sensibile agli effetti della luce”.

Scritto Tiziano Vecelio

Origini

Tiziano nacque a Pieve di Cadore, cittadina dolomitica ai confini dei domini della Serenissima, dal casato Vecellio, famiglia nota e agiata, dedita per generazioni al giureconsulto ed all’amministrazione locale, ma anche all’arte, avendo espresso solo tra la fine del XV e la prima metà del XVII secolo nove pittori. La presenza del presunto capostipite Guecelus (o Vacelus), notaio, è attestata a Pieve già nel 1240. Tiziano era uno dei cinque figli di Gregorio (morto nel 1538), consigliere e capitano delle milizie, e Lucia.

La questione della data di nascita

La casa di Tiziano a Pieve di Cadore
La casa di Tiziano a Pieve di Cadore

Nonostante la relativa ricchezza di fonti su Tiziano a disposizione, è sconosciuta la data di nascita: non è una questione astratta, ma conoscere almeno l’anno di nascita significa anche, evidentemente, stabilire quando Tiziano ha potuto cominciare a dipingere, e quando, verosimilmente, ha iniziato a staccarsi dallo stile dei maestri, e così via. Una ormai solida tradizione poneva la data di nascita tra il 1473 e il 1490; l’atto di morte, redatto nel 1576, registra un’età di 103 anni, e dunque l’anno di nascita sarebbe il 1473, ma la preferenza dei più si coagulava intorno al 1477: questa ipotesi era basata in particolare sulla lettera scritta da Tiziano a Filippo II il 1º agosto 1571, nella quale l’artista afferma di avere novantacinque anni. Ma oggi si è inclini a pensare che lo stesso Tiziano possa aver falsificato apposta la propria età, poiché, reclamando un proprio credito nei confronti del re per alcuni dipinti, potrebbe essersi aumentato gli anni per impietosire l’illustre committente.

La critica moderna aveva invece assestato il dato della nascita tra il 1488 e il 1490, sulla base del Dialogo della pittura di Ludovico Dolce, in cui si afferma che, all’epoca dei perduti affreschi al Fondaco dei Tedeschi, eseguiti con Giorgione nel 1508, Tiziano non arrivava a vent’anni; tale dato appare confermato, seppure contraddittoriamente, da Vasari, il quale affermò che Tiziano era nato nel 1480 e che non aveva più di diciott’anni quando iniziò a dipingere alla maniera di Giorgione, e che tuttavia ne aveva circa settantasei nel 1566, quindi slittando in avanti di dieci anni. Ovviamente, a parte le contraddizioni di Vasari, che comunque prendeva le sue informazioni dal Dolce, quest’ultimo avrebbe potuto abbassargli l’età per farlo apparire più giovane: essendogli amico e tessendone spesso l’apologia nella sua opera, voleva probabilmente farlo apparire più precoce.

Jacopo Pesaro presentato a san Pietro da papa Alessandro VI (1503–1506 circa), Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten.
Recentemente è stata avanzata un’ipotesi intermedia secondo la quale la data di nascita di Tiziano sarebbe compresa tra il 1480 e il 1485. La plausibilità di questa asserzione è basata sullo studio delle prime opere di Tiziano e sul fatto che non si conoscerebbero lavori possibili di Tiziano databili prima del 1506.

Un dipinto in questo senso illuminante è Jacopo Pesaro presentato a san Pietro da papa Alessandro VI, opera votiva eseguita per celebrare la vittoria della flotta veneziana e papale di Santa Maura sui Turchi del 28 giugno 1502. Già ascritto tradizionalmente al 1508-1512, una rilettura più approfondita ne ha anticipato la datazione al 1503-1506, facendone il primo lavoro noto dell’artista. Il committente infatti, comandante delle forze cristiane a cui il dipinto è dedicato, dovette richiedere la pala subito dopo la battaglia e comunque prima del 1503, anno della morte del pontefice promotore dell’impresa, che subì subito dopo una sorta di damnatio memoriae. Il Pesaro comunque non fece ritorno a Venezia prima del 1506, anno probabile della consegna.

Il dipinto stesso suggerisce stilisticamente l’attività di un artista giovane, ancora in bilico tra più maestri: la figura del papa Alessandro VI ha i modi un po’ antiquati della pittura di Gentile Bellini, prima figura di riferimento di Tiziano; il san Pietro ha invece le caratteristiche di approfondimento psicologico proprie del secondo maestro di Tiziano, Giovanni Bellini, all’epoca nume tutelare della pittura veneta, e quindi probabilmente la sua fattura è posteriore di alcuni mesi. Tuttavia è il terzo ritratto, quello del Pesaro, a colpire maggiormente, perché è inconfutabilmente Tiziano, fin d’ora del tutto consapevole del suo stile, dando un primo assaggio della pienezza della sua arte. A poco meno di vent’anni quindi, Tiziano doveva essere in grado di accaparrarsi a Venezia una commissione prestigiosa.

Formazione (1490-1510)

Secondo la tradizione, a dieci anni Tiziano iniziò a manifestare il proprio talento, primo nella sua famiglia a dimostrare un’inclinazione artistica:

« […] digiuno di qualunque nozione elementare del disegno, essendo ancora fanciullo, sul muro della casa paterna effigiò l’immagine di Nostra Donna (la Madonna), valendosi per colorirla del succo spremuto dalle erbe e dai fiori: e tale fu lo stupore, che destò quella primizia del suo genio pittorico, che il padre stabilì di mandarlo col figlio maggiore Francesco a Venezia presso il fratello Antonio, affinché apprendesse le lettere e il disegno »
(Francesco Beltrame, Cenni illustrativi sul monumento a Tiziano Vecellio, aggiuntevi la vita dello stesso.)
Ancora bambino, quindi, lasciò il Cadore con il fratello maggiore Francesco e si stabilì a Venezia, dove lo zio Antonio ricopriva una carica pubblica. Il mosaicista Sebastiano Zuccato insegnò ai ragazzi i primi rudimenti tecnici; mentre Francesco, però, orientò i suoi interessi verso l’imprenditoria e la vita militare, Tiziano venne messo a bottega da Gentile Bellini, pittore ufficiale della Serenissima. Probabilmente alla morte del maestro, avvenuta nel 1507, il giovanotto passò a collaborare con Giovanni Bellini, subentrato al fratello anche nel ruolo di pittore ufficiale.

L’incontro con Giorgione

Concerto campestre (1509), Parigi, Museo del Louvre
Concerto campestre (1509), Parigi, Museo del Louvre

I debiti del giovane Tiziano sono stati in gran parte ridimensionati dalla critica recente, riconoscendo piuttosto una pluralità di influenze importanti nella formazione del suo stile, come evidente nella pala per Jacopo Pesaro del 1503. L’incontro con Giorgione dovette risalire a non molto prima del 1508, quando i due collaborarono alla decorazione esterna del nuovo Fondaco dei Tedeschi, ricostruito dopo l’incendio del 1505.

Di solito viene ricordata, a questo proposito, la versione di Dolce: il contratto prevedeva che venissero affrescate due facciate. Giorgione riservò per sé la principale, sul Canal Grande, mentre quella verso le Mercerie, su uno stretto vicolo, venne assegnata al giovane pittore. Vasari invece afferma che Tiziano si mise all’opera dopo che Giorgione aveva già completato il suo lavoro.

In ogni caso, nulla rimane di queste opere se non pochi frammenti alla Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro e una serie di incisioni di Anton Maria Zanetti che li ha raffigurati due secoli dopo.

L’ipotesi di un vero e proprio alunnato di Tiziano, e con lui di Sebastiano Luciani, presso Giorgione deriva dalle notizie di Vasari, che però più di una volta, per esigenze di continuità letteraria nella sua opera, ha troppo enfatizzato (se non inventato di sana pianta) tali rapporti tra artisti. In realtà nessuna delle fonti contemporanee veneziane parla di una bottega, una scuola o allievi di Giorgione. Una deduzione comune, legata anche a considerazioni stilistiche e iconologiche, lega il nome del giovane Tiziano a opere di gusto giorgionesco possibilmente lasciate incomplete alla morte del pittore, quali il Concerto campestre, il Cristo portacroce di San Rocco, il Concerto di Palazzo Pitti, anche se non mancano tuttavia autorevoli opinioni contrarie.

Oggi si tende a considerare il rapporto tra i due pittori come un confronto alla pari di idee creative, piuttosto che un tradizionale scambio maestro-discepolo. Agli accordi tonali che compongono l’olimpica serenità contemplativa, a volte enigmatica, di Giorgione, si contrappone la vivacità coloristica che anima il gesto drammatico del giovane Tiziano. Per Giorgione infatti l’arte non narra azioni, non imita il reale: essa sviluppa il rapporto con la natura e con le altre arti, come la musica. Pure il giovane Tiziano è convertito a questa forma teologico-filosofica, anche se i risultati furono alla fine molto diversi, perché evidentemente diverse erano le personalità.

 

Maturità (1517-1530)

Assunta (1518), Venezia, basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari
Assunta (1518), Venezia, basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari

Con la nomina a pittore ufficiale della Serenissima la carriera di Tiziano era ormai assicurata: il ruolo godeva di cento ducati annui che derivavano dalle rendite delle imposte sul sale (la cosiddetta sansaria del Fondaco dei Tedeschi) e dava diritto anche all’esenzione delle tasse annuali. Tiziano, che ricoprì tale carica per ben un sessantennio, investì questi proventi nel commercio del legname del natìo Cadore, necessario all’industria navale della Repubblica; gli spostamenti sull’asse Cadore-Venezia portano anche ai primi importanti contatti con l’area di Serravalle, che negli anni quaranta e cinquanta fu luogo della commissione di due grandi pale d’altare, nonché di fondamentali vicende economiche e famigliari.

Gli accorti investimenti di Tiziano fecero poi sì, insieme con il crescente successo della sua produzione artistica, validamente suffragata dalla bottega, che egli diventasse forse il più ricco artista della storia. I signori delle corti italiane ed europee si contendevano ormai le sue opere, naturalmente a suon di denar

Il 31 ottobre 1517 un frate agostiniano professore di esegesi biblica nella locale università, affigge 95 tesi alla porta della chiesa del castello annesso all’Università di Wittenberg. Il nome del religioso tedesco è Martin Lutero e il gesto è gravido di conseguenze: di qui scaturirà la Riforma protestante che porterà alla rottura dell’unità cristiana e di tutto il mondo culturale dell’epoca, che dalla visione cristiana derivava in modo diretto e senza mediazioni. Tra il 1545 e il 1563 il concilio di Trento rappresenta la risposta della cattolicità alla riforma: rinnovamento pastorale, certo, ma totale clericalizzazione della chiesa, azione moralizzatrice contro molte storture che alle tesi di Wittenberg avevano portato, ma anche ideologia militante contro l’eresia protestante e dunque atmosfera soffocante per i molti che anche in Italia avevano condiviso alcune istanze riformatrici.

Alcuni hanno fatto notare come (attraverso l’analisi delle lettere proprie e dell’amico Aretino) si possa giungere a definire l’adesione di Tiziano e del suo circolo ad una forma di dissenso religioso che investì vasti strati del mondo culturale italiano. È un dissenso moderato, che sfugge alla logica degli «opposti estremismi», impaziente verso le norme formalistiche, che prende linfa dal pacifismo di Erasmo, che anela ad una religione comprensibile, inquieta, individualista. È ovvio che simile dissenso non può che essere «privato», dati i tempi, e dunque inquadrabile nel cosiddetto «nicodemismo», da Nicodemo, discepolo che visse la sua adesione a Cristo nel segreto del proprio privato fino al momento supremo della morte del maestro.
Non ci sono chiari documenti scritti che possano confortare questa ipotesi. Ci sono tuttavia i dipinti: dall’analisi di tutta la produzione dei grandi pittori veneziani e veneti – ma anche di tanti, più in generale, italiani – molti autorevoli critici hanno visto lo smarrimento e il dissenso, risolto poi in sperimentalismo e inquietudine piuttosto che rassegnazione e conformismo. In questo senso va certamente letta la Deposizione nel sepolcro, in cui Tiziano si ritrae nei panni di un Giuseppe d’Arimatea, iconologicamente confuso, in tal caso, con Nicodemo, che sorregge Cristo: ci ricorda, questo Giuseppe-Nicodemo, un altro Nicodemo «fermato in piede» – Nicodemo nascosto dal cappuccio, perché nascosta è la sua fede – Nicodemo autoritratto del nicodemita Michelangelo.

Nel 1558 Tiziano invia ad Ancona una tragica Crocifissione realizzata con la tecnica “a macchia”, dove una Maria disfatta dal dolore fa da contrappunto ad un San Giovanni illuminato da un raggio proveniente da Cristo. Alcuni critici considerano quest’opera emblematica dell’ultima maniera tizianesca.

Anche il Martirio di San Lorenzo, è emblematico di questo nuovo Tiziano: lo spettrale dipinto, tavola oscura su cui lampeggiano personaggi abbozzati dalla luce, rappresenta l’ultima e definitiva incarnazione della pala d’altare rinascimentale, non più nitida e serena composizione ma invece convulsa scena in cui nulla conserva precisi contorni: tutto è mosso, sgranato, incerto. Così anche l’Annunciazione, Cristo e il cireneo, la Maria Maddalena penitente, il San Girolamo, fino all’ultima Pietà, non sono che stazioni di una lunga e sofferente via crucis, incompresa, per larga parte, dai contemporanei.

La Pietà

 

Tiziano Vecellio, Pietà, 1576, olio su tela, 352 x 349 cm, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Tiziano Vecellio, Pietà, 1576, olio su tela, 352 x 349 cm, Venezia, Gallerie dell’Accademia

Anche nelle opere meno impegnative dal punto di vista drammatico, come Venere che benda Amore o la Sapienza, lo stile è lo stesso, anche se qui giocato sui toni chiari. Ai ritratti (Ritratto di Jacopo Strada) sempre magistrali ma del tutto diversi dai classici, si aggiungono in questo periodo due Autoritratti.

L’artista è ormai teso alla conquista del nuovo mezzo espressivo, fatto di rapide e larghe pennellate, o anche di colore modellato con le dita, con un effetto finale simile al non finito di Michelangelo. Tarquinio e Lucrezia, Ninfa e pastore, San Sebastiano e poi ancora l’Incoronazione di spine: la tortura e la morte dell’innocente si traducono in toni di accorata sofferenza.

Al termine di questo percorso si colloca la Pietà, dipinta per la propria tomba ai Frari e in parte modificata dopo la morte dell’artista da Palma il Giovane. Sullo sfondo di un nicchione manierista, si trova la Madonna che regge con volto amorevole ed impassibile il Cristo, semisdraiato e sorretto da Nicodemo prostrato. Alla sinistra, in piedi si trova la Maddalena, vertice di un ideale triangolo. Un piccolo autoritratto orante con il figlio Orazio è posto alla base di una delle colonne che incorniciano il nicchione. I colori sono lividi, scuri, le pennellate sono imprecise, abbozzate, l’atmosfera spettrale e drammatica. La disperazione per l’incombente aura di disfacimento che pervade la tela culmina con l’inquietante braccio proteso ai piedi della Sibilla, estrema richiesta dell’artista prossimo alla morte.

La peste uccide Tiziano il 27 agosto 1576. Un mese prima aveva portato via anche il figlio Orazio. Gli è stata risparmiata la fossa comune ma, dati i tempi, i funerali si svolgono in fretta e furia. In seguito basteranno cinque anni al figlio Pomponio per dilapidare tutto il patrimonio del pittore più ricco della storia.

Tiziano non ha lasciato allievi. Ma la sua lezione e i suoi colori hanno attraversato cinque secoli, perché anche noi possiamo rivivere quell’emozione, «quell’equilibrio di senso e di intellettualismo umanistico, di civiltà e di natura, in cui consiste il fondamento perenne dell’arte di Tiziano».